Diversificare, la parola magica, utile e necessaria, quando si parla di investimenti. Ma, nella pratica, cosa fare concretamente?

Partiamo dall’inizio. Uno degli effetti, osservati in campo finanziario, della globalizzazione è quello dell’aumento degli indici di correlazione tra gli strumenti finanziari.

La correlazione esprime in termini numerici come un investimento si muove rispetto a un altro, evidenziando come quello osservato reagisce al variare dell’altro.

Per diversificare è necessario detenere in portafoglio strumenti che reagiscano nella maniera più differente tra loro, quindi con un basso indice di correlazione tra loro. 

In questo contesto è bene farsi alcune domande:

  • c’è un modo di investire per contrastare la correlazione?
  • Esistono degli investimenti alternativi ai classici, che si muovono secondo logiche proprie?
  • È possibile investire in qualcosa di molto decorrelato dai mercati tradizionali?

La risposta a tali domande è il Private Equity.

Cos’è il Private Equity?

In sostanza, il Private Equity è un investimento privato nel capitale di una società non quotata.

L’investimento avviene attraverso il finanziamento dell’attività dell’azienda. Si tratta, in parole semplici, di entrare nel capitale sociale di un’azienda non quotata attraverso l’acquisto di quote della stessa

L’obiettivo finale è la valorizzazione, in un tempo medio/lungo, della società, ai fini della dismissione della partecipazione. Ovvero, si partecipa al finanziamento e al potenziamento dei mezzi necessari allo sviluppo del business aziendale, così da implementare la crescita del valore delle quote acquisite, per venderle a un prezzo più elevato rispetto a quello di acquisto.

Semplice a dirsi, piuttosto complicato da realizzare.

Il Private Equity è una delle forme d’investimento che ha riscosso più successo nel corso di questi ultimi anni.

Diverse le ragioni che ne hanno decretato il forte sviluppo:

  • la ricerca di un rendimento elevato;
  • il desiderio di investire in economia reale;
  • la necessità di forme alternative agli investimenti tradizionali oggi poco remunerativi;
  • l’esplosione dell’offerta una volta limitata;
  • la percezione di rischio inferiore rispetto alla finanza tradizionale;
  • la facilità di accesso rispetto al passato.

Ecco perché è uno strumento interessante per diversificare davvero gli investimenti del tuo patrimonio. 

Quali sono le caratteristiche del Private Equity?

Per i suoi tratti distintivi, il Private Equity può rappresentare la risposta ideale ai quesiti che ci siamo posti poco fa:

  • consente di decorrelare una parte del tuo patrimonio;
  • permette di essere immune alla volatilità tipica dei mercati finanziari tradizionali;
  • riduce la volatilità complessiva del tuo patrimonio;
  • offre rendimenti superiori ai ritorni degli strumenti tradizionali;
  • accede a investimenti in aziende dove non avresti modo di entrare;
  • dà l’opportunità di partecipare a nuove idee, di essere, in sostanza, tra i primi;
  • conferisce la possibilità di investire in attività di impresa;
  • rende possibile l’investimento in business reali non influenzati dalla finanza.

Allo stesso tempo, però, vanno tenuti presenti alcuni aspetti che rendono questa alternativa non adatta a tutti. L’investimento in fondi di Private Equity è:

  • illiquido;
  • soggetto a tempi lunghi, si stimano orizzonti temporali superiori agli otto anni;
  • consentito solo a certi soggetti professionali;
  • aperto a tutti, ma con elevate soglie di accesso, così che, di fatto, risulta adatto solo agli HNWI;
  • rischioso, essendo legato all’attività d’impresa;
  • complesso nei meccanismi.

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Tipologie di Private Equity

Esistono diverse forme di Private Equity, distinte in funzione delle tipologie d’investimento che vengono implementate.

Una prima classificazione si basa nei confronti di ciò che si va a finanziare:

  • finanziamento di un’idea – Seed;
  • finanziamento dell’avvio di una nuova azienda – Start up;
  • finanziamento della crescita di aziende già mature – Expansion;
  • finanziamento della riorganizzazione totale della proprietà aziendale – Buy out;
  • finanziamento della sostituzione di parte dell’azionariato – Replacement;
  • finanziamento del rilancio del business aziendale – Turnaround.

Ogni tipologia ha delle peculiarità che richiedono una preparazione specifica e un’esperienza diretta ai gestori chiamati a investire.

Soprattutto in termini di rischio, queste forme d’investimento non sono tutte uguali. Finanziare una nuova idea non è come finanziare l’espansione di un’azienda già avviata.

Da tenere presente anche che tali business, quasi mai, sono liquidi e presentano tempi lunghi di sviluppo e realizzazione.

Ecco perché risulta fondamentale conoscere bene in che tipologia di fondo di private equity investire il proprio denaro e quali sono le operazioni che si vanno a finanziare.

È imprescindibile che tu sia affiancato da un consulente preparato che affronti al meglio la situazione. Meglio non rischiare da solo.

Come investire nel Private Equity?

Cerchiamo di capire, adesso, come realizzare nella pratica questo tipo di investimento. Come finanziare una società, non quotata su un mercato regolamentato, e in che modo acquisire quote di partecipazione.

Tutto è incentrato sull’attività con la società selezionata per l’investimento. Ciò implica una conoscenza diretta e profonda dell’azienda individuata.

Inoltre, è difficile poter replicare questo processo in maniera costante, sistematica e duratura nel tempo.

Come usare i fondi di Private Equity? 

I fondi di private equity sono fondi chiusi a durata prefissata, che investono i capitali conferiti secondo le indicazioni stabilite dal regolamento del fondo.

Un fondo di private equity seleziona società non quotate in cui investire attraverso l’acquisto di quote, ai fini di consentire il lancio, lo sviluppo o il recupero del business aziendale.

I risultati di un fondo di Private Equity sono direttamente proporzionali all’efficienza del team che seleziona le operazioni su cui investire.

Diversi sono gli operatori che fanno fondi di questo tipo:

  • fondi chiusi sovranazionali o internazionali;
  • fondi chiusi nazionali;
  • banche d’affari;
  • banche tradizionali;
  • soggetti istituzionali;
  • soggetti industriali;
  • fondi sovrani;
  • operatori pubblici.

In pratica, il fondo di Private Equity entra in qualità di socio finanziatore per permettere la crescita di queste aziende, con l’obiettivo dichiarato di andare poi a rivendere sul mercato le quote di partecipazione ad un valore molto più alto di quello pagato. 

Processo d’investimento di un fondo di Private Equity

Prima di investire in un fondo di Private Equity è necessario avere ben chiare quali saranno le fasi che caratterizzano questo strumento.

Nello specifico si hanno tre fasi ben definite.

1. La raccolta

La sottoscrizione del fondo è una fase delicata, durante la quale il gestore raccoglie il denaro dagli investitori.

Queste somme, al contrario di quello che avviene in un fondo tradizionale, non vengono tutte investite subito in operazioni di Private Equity.

Il gestore valuta molte operazioni che si presentano, ma ne sceglie pochissime, prediligendo solo quelle che soddisfano i criteri d’investimento stabiliti nel mandato del fondo e verso le quali matura una forte convinzione.

Ecco perché è impossibile pretendere tempi rapidi d’investimento.

Durante la fase di attesa, prima dell’effettivo impiego, la liquidità potrà essere parcheggiata e remunerata al tasso monetario o, se previsto dal regolamento, investita in strumenti tradizionali liquidi.

Alcuni fondi adottano la modalità “a chiamata”. L’investitore, ossia tu, si impegna a sottoscrivere una cifra nel fondo che verrà investita “a chiamata”, ovvero, il gestore avrà un certo periodo di tempo, stabilito dal regolamento del fondo stesso, entro il quale potrà chiedere il versamento di quanto pattuito con l’investitore.

Il gestore del fondo, ogni volta che il comitato d’investimento delibera un nuovo investimento per un’operazione selezionata, raccoglierà in maniera proporzionale le quote da tutti i sottoscrittori del fondo. Questa fase è definita “tiraggio”.

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2. L’investimento

Questo passaggio è determinante per il successo del fondo stesso. Il gestore deve raccogliere una quantità enorme di informazioni per valutare l’opportunità d’investimento di ogni singola operazione che si presenta.

Per la selezione delle operazioni da implementare, il gestore si avvale di team fortemente specializzati in un settore o in una tipologia di operazioni che valuta le caratteristiche:

  • delle aziende prese in esame;
  • della struttura delle operazioni proposte;
  • della finalità ultima delle operazioni societarie;
  • del mercato e contesto in cui sono inserite;
  • dello sviluppo reale delle operazioni;
  • del ritorno atteso.

Una volta accertato che le caratteristiche sono idonee e soddisfano le finalità del fondo, va stabilito uno degli aspetti più importanti di ogni trattativa: il prezzo.

Insieme al prezzo, si definiscono le modalità e le tempistiche dell’investimento stesso, aspetti tutt’altro che secondari in queste operazioni.

A questo punto il comitato d’investimento del fondo è chiamato a deliberare o declinare la proposta d’investimento, decisione che porta poi all’implementazione dell’operazione.

3. Il disinvestimento

Siamo al punto cruciale dell’intero processo d’investimento. Spesso il successo o l’insuccesso di un’operazione di Private Equity è ascrivibile proprio a questa fase.

Una volta partiti gli investimenti, operatori specializzati del fondo seguono tutto lo sviluppo dell’operazione e l’andamento della società partecipata, per decidere qual è il momento più opportuno per chiudere l’operazione in modo da realizzare il massimo profitto.

Stabilire, con precisione chirurgica, qual è l’apice dello sviluppo di una società o di un’operazione non è cosa banale. Non è uno sport per amatori della domenica.

Oltre a individuare il momento, è fondamentale scegliere il canale per il disinvestimento.

Vediamoli insieme:

  • cessione delle quote a uno dei soci originari in essere;
  • cessione delle quote a nuovi soci industriali;
  • cessione delle quote a un altro operatore di private equity;
  • quotazione della società nel mercato borsistico;
  • fusione con altre società del settore;
  • abbattimento dell’operazione nel bilancio del fondo.

Tutte queste operazioni richiedono tempo e perizia nelle decisioni. È intuitivo, quindi, che l’uscita da un fondo di private equity deve essere stabilita e regolata prima che l’investimento venga effettuato, attraverso il regolamento del fondo stesso.

La fase di liquidazione potrebbe avvenire anche in concomitanza con la fase di chiamata

Mi spiego meglio: il fondo, a volte, inizia a liquidare i proventi di alcune operazioni implementate quando ancora non si è conclusa la fase di “tiraggio”.

Potrebbero quindi sovrapporsi fasi in cui il fondo distribuisce i risultati di alcune operazioni e raccoglie fondi per nuove operazioni.

Durata dei fondi di Private Equity

Come hai già visto, la durata di un investimento come questo non può essere breve.

Di norma, è un aspetto che viene stabilito direttamente dal regolamento del fondo e risulta di circa otto/dieci anni.

La durata di un fondo di Private Equity ha un’altra peculiarità: può essere prorogata.

Il comitato di gestione del fondo, infatti, ha facoltà di prorogare la scadenza prestabilita di due o tre anni, nel caso in cui non vengano completate le vendite delle partecipazioni.

Quali rischi presenta il Private Equity?

Chiariamo subito che le operazioni presentano tutte un elevato rischio finanziario. Ecco i rischi di cui bisogna tener conto con un investimento di Private Equity:

  • è illiquido per definizione, non essendo quotate le società in cui i fondi investono;
  • presenta tempi lunghi di sviluppo non comprimibili;
  • ingloba i rischi peculiari del business delle aziende che seleziona;
  • si accolla i rischi legati allo sviluppo di nuovi mercati, di nuovi prodotti e all’espansione.

Le operazioni, di solito, vengono effettuate ricorrendo a una forte leva finanziaria, ossia le somme investite sono poste a garanzia di affidamenti più grandi concessi per acquisire le quote societarie.

Anche qui bisogna considerare il rischio legato alla leva finanziaria, in termini di tassi e di tutto quello che ne consegue.

Quali sono i costi d’investimento in un fondo di Private Equity?

Dopo aver letto le caratteristiche dei fondi di Private Equity, mi crederesti se ti dicessi che costano poco?

Due sono le componenti che definiscono il costo:

  1. le commissioni di gestione;
  2. le commissioni di performance.

Le commissioni di gestione sono identiche nella forma a quelle applicate dei classici fondi comuni d’investimento, ma vengono applicate in modo differente, a seconda di quanto specificato dal regolamento del fondo.

Per i primi 5 anni, in genere, vengono applicate al totale dell’investimento contrattuale, mentre per i successivi anni, fino alla scadenza, vengono applicate al NAV, il Net Asset Value.

Le commissioni di performance vengono applicate, di solito, dopo il raggiungimento di un rendimento minimo del 5/8% del fondo stesso.

Essendo dovute solo al raggiungimento dell’obiettivo di rendimento del fondo, sono il vero incentivo per il gestore. In tal senso, costituiscono la garanzia per l’investitore che ci sarà il massimo dell’impegno per arrivare al massimo del rendimento.

Di solito sono stabilite al 20% della plusvalenza netta realizzata dai sottoscrittori del fondo. 

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Qual è il rendimento atteso per un fondo di Private Equity?

Commisurati ai rischi che abbiamo visto, per i fondi di Private Equity, ci si aspetta rendimenti elevati.

Il premio per tutte le incognite evidenziate deve essere, per forza di cose, più elevato rispetto a quello offerto dai mercati tradizionali.

A seconda delle tipologie delle operazioni poste in essere, i fondi di Private Equity possono arrivare a rendere anche il 15/20% in contesti storici favorevoli.

Resta da evidenziare che i risultati sono ottenuti con una bassissima volatilità e altrettanto bassa correlazione con i mercati convenzionali.

Caratteristiche che rendono molto interessanti i rendimenti ottenibili.

Normativa MIFID II e Private Equity

La normativa MiFID 2 stabilisce che solo gli investitori professionali possono utilizzare questa particolare famiglia di strumenti.

Per investitore professionale si intende “un cliente che possiede l’esperienza, le conoscenze e la competenza necessaria per prendere le decisioni in maniera autonoma essendo in grado di valutarne i rischi”.

La normativa elenca con esattezza quali sono i soggetti che appartengono a questa categoria di diritto, ma stabilisce anche che possano essere qualificati come “clienti professionali su richiesta” tutti quei soggetti che ne facciano espressamente richiesta, purché vengano rispettate alcune caratteristiche specifiche.

È consentita la sottoscrizione di fondi chiusi di private equity anche a investitori non professionali che rispettano certi parametri dimensionali.

Questi investitori non professionali possono sottoscrivere quote di fondi di Private Equity per un valore complessivo non inferiore a 500.000 euro.

Dunque, o sei un investitore professionale, o ti dichiari tale e puoi sottoscrivere questi strumenti per l’importo che desideri. In alternativa devi essere disposto a investire almeno 500.000 euro.

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